Magister Giotto a Venezia

alla Scuola Grande della Misericordia dal 13 luglio al 5 novembre 2017

 

Si apre oggi  al pubblico, alla Scuola Grande della Misericordia, la grande e innovativa esposizione dedicata a Giotto.  Si tratta di un importante progetto multimediale ideato e promosso da  Cose Belle d’Italia – Media Entertainment, gruppo imprenditoriale attivo nella valorizzazione, promozione del made in Italy e creazione di format per il grande pubblico. L’occasione è il 750° anniversario della nascita del grande maestro toscano per il quale sono stati coinvolti – oltre a grandi esperti come Alessandro Tomei (Università di Chieti), Serena Romano Gosetti di Stummerck (Università di Losanna), Giovanni Pisani (MIUR) e Stefania Paone (Universita della Calabria) – anche l’astronomo Cesare Barbieri. La direzione artistica è stata affidata al regista e autore Luca Mazzieri; quella esecutiva all’architetto Alessandra Costantini. La voce narrante è di Luca Zingaretti. Le musiche di Paolo Fresu.

Il percorso si snoda sui due piani della Scuola Grande. Pannelli fotografici e proiezioni in alta definizione, in scala 1 : 1, e di grande impatto emozionale, si accompagnano a musiche e narrazioni che il visitatore può ascoltare in cuffia. Il tutto per offrire un’esperienza dinamica e partecipativa utile, secondo gli ideatori, a far comprendere la straordinaria vicenda giottesca in Italia.

Le sette sezioni di cui si compone cominciano con un’istallazione d’effetto. Un grande crocifisso rosso, ribaltato, al centro della vasta navata centrale della Scuola, estrapolato, chiaramente, dal noto affresco assisiate del Presepe di Greccio: introduzione drammatica allo spettacolo giottesco che continua al primo piano con la proiezione delle immagini prese dagli affreschi di Assisi, Padova e Firenze; i crocifissi e le tavole, restituite su supporti che ne simulano efficacemente dimensioni e materiali; grafiche che ricostruiscono programmi compositivi e distributivi delle immagini nei contesti originari. Una serie di epifanie giottesche che stimolano all’osservazione attenta dei particolari nel generale.

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Non un semplice carosello di quadri e fotografie ma una pluri-dinamica apparizione di immagini di opere, extra-contesto, ma collazionate quasi a costruire una didattica partecipativa attorno, e non solo di fronte, all’osservatore. Una forma evoluta e scientificamente costruita, di esperienza performativa, sostanziata – come tengono a dire i curatori – di spettacolo, conoscenza, allestimento. Elementi questi su cui si è costruita una interessante sperimentazione che impone al visitatore di partecipare a una coreografia indotta dallo stesso svolgersi del progetto espositivo.

Luca Mazzieri ha voluto proporre, con questo evento, una possibilità e uno strumento di conoscenza offrendo a un pubblico più vasto, internazionale, in una città internazionale, un maestro che, di fatto, è un brand italiano nel modo come lo è pure Venezia.

Giotto senza le opere originali di Giotto; Giotto con le immagini di Giotto: ovvero, un invito all’indagine; a intraprendere possibili itinerari nella vicenda artistica e umana del grande pittore, e pure, nell’Italia intesa come terra di innovazione culturale ed estetica. Seducendo il visitatore con espedienti scenografici; portandolo ad attraversare le vie teologiche e spirituali dell’iconografia; calandolo, col racconto e la musica, nel contesto storico; proiettandolo a una sua rilettura contemporanea. Da qui l’interessante collegamento a figure di contorno, contemporanee al Maestro e niente affatto marginali: come quell’Alberto da Padova – agostiniano che andrà poi ad insegnare a Parigi – di cui, Giuliano Piasani ne ha rintracciato il rapporto con l’impresa della Cappella degli Scrovegni. Oppure il riferimento alla cometa di Halley – rappresentata nell’Adorazione dei Magi – di cui Cesare Barbieri ne intesse un racconto incentrato sul tema del tempo, dello spazio e della ciclicità delle esperienze umane.

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Meno di un’ora è necessaria per intraprendere questo viaggio. Un tempo circoscritto e stabilito a monte, nel progetto stesso, utile per regalarsi – a detta del regista dell’impresa – una catartica pausa dallo stress veneziano: un momento di ordine e riflessione, approfondimento e godimento ‘immaginifico’.

Ora attendiamo la reazione del pubblico. Perché fa un certo effetto questo Giotto a Venezia che racconta del Giotto, vero e autentico, che si trova a pochi chilometri da questa città ormai take away. Una città con cui, peraltro, pare che il grande pittore non abbia avuto proficui e amorevoli rapporti, per quanto in quello straordinario Giudizio Universale degli Scrovegni si senta odore di laguna. Eppure un qualche seguito si ebbe.

Che non si tratti solo di didattica, questo pare evidente.  Come pure sia legittimo per alcuni – ma siamo solo al primo giorno di apertura – avvertire il sospetto di trovarsi di fronte a una curatissima e raffinata operazione di marketing destinata – e qui il binomio Giotto-Venezia è certamente vincente – a essere parecchio vendibile all’estero. Non ci sarebbe nulla di male. Attenzione. Costa molto, molto meno che esporre i veri Giotto.  E per i veri Giotto le gite all’estero non sono proprio salutari.

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Mi piace pensare che siamo di fronte a una forma evoluta di fruizione delle immagini. Le nuove tecnologie consentono una lettura del dettaglio e dell’insieme che ad occhio nudo, nel luogo vero, sarebbe impossibile per un comune visitatore. E poi, un’operazione come questa, permette di concentrare in un unico spazio un catalogo di immagini collocate in luoghi distanti, geograficamente e, aggiungo, culturalmente e storicamente.

Si perde il senso del luogo. Ovvero, non vi sono i luoghi delle immagini, fatte per quei determinati luoghi. Per quanto virtualmente ricostruibili.  Il riferimento qui, chiaramente, è per le pitture murali. E il pericolo di indurre a fuorvianti letture è molto alto.  Perché manca il contesto, lo spazio e il tempo necessario per attraversare la città, la via che conduce all’edificio; varcare la soglia del contenitore per incontrare il contenuto: per ‘subire’ la sua epifania; per capire il suo svolgersi; per immergersi nella narrazione. Che obbliga l’osservatore, nel caso di Giotto, a percorsi longitudinali, diagonali, trasversali, oppositivi, verticali, tra le scene, i soggetti, i gesti, i passaggi, le linee delle cornici: tra chi guarda e ciò che si manifesta in forme; nei riquadri, nella scansione dello spazio contenitore.

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Giustamente, dalle pagine del Corriere della Sera di ieri, la storica dell’arte Serena Romano – coinvolta anch’Essa, come dicevamo, nel progetto – sottolinea la diffusa incapacità degli specialisti di rapportarsi a un pubblico più vasto: il grande pubblico che ha desiderio di conoscere e di accedere all’arte. La divulgazione è cosa seria e richiede preparazione scientifica e metodo. Accuratezza e criterio filologico. E tecnica adeguata: conformata al target di pubblico, necessariamente individuato e considerato nelle sue esigenze, al quale si propone un’operazione di questo tipo.

Francamente non credo che “uno dei futuri possibili” (virgolettato nell’articolo di cui sopra) possono essere queste ricostruzioni: condivido tuttavia il loro potenziale comunicativo; la loro forza drammaturgica, la spettacolarizzazione che certamente è accattivante e suscita stupore, genera curiosità, e forse – ma dovremmo essere in un mondo meno turisticamente massificato, globalizzato e commerciale – forse può suscitare l’interesse verso le opere originali. Ma questa è cosa più da cinema che da storia dell’arte. E in ciò non v’è nulla di condannabile, se si declina a documentare, comunque, una storia. Il pericolo, qui, è l’interpretazione proposta.

E se partissimo dagli originali e dai loro originari contenitori? Se, in altre parole, le opere d’arte – o meglio le loro immagini, ad alta definizione, stampate su supporti capaci di imitare quelli veri, tornassero nei luoghi per le quali furono ideate, pensate, composte, inserite, viste: quando furono realizzate e anche dopo? Se, invece, o magari pure, riportassimo le grandi tavole, i grandi crocifissi di Giotto nelle cappelle di quelle chiese che ne furono spogliate?

A Venezia operazioni intelligentissime di questo genere sono state fatte per alcuni dei luoghi più straordinari della città. Luoghi che, ‘abitati’ da quelle immagini per secoli, hanno avuto un ruolo fondamentale e straordinario per l’identità e la cultura della società nelle varie epoche. Luoghi di immagini che hanno contribuito agli sviluppi dell’arte e dello stesso modo di immaginare, fruire e fare i luoghi stessi. Contribuendo alla definizione dei caratteri propri e peculiari del cittadino del luogo.

Al refettorio del monastero di san Giorgio Maggiore, opera somma di Andrea Palladio, la grande e straordinaria Cena delle nozze di Cana di Paolo Veronese è tornata. Non l’originale, esposta ancora oggi  al Louvre nella stessa sala e di fronte alla Gioconda di Leonardo: offesa dai criteri museologici e dalle spalle delle folle di cacciatori di sefie. A San Giorgio, la parete di fondo del refettorio di Palladio si è nuovamente completata della sua immagine necessaria, di quella cena di Veronese di cui è stata stampata la fotografia ad alta definizione e a grandezza naturale che, oggi, di nuovo, completa un ragionamento spaziale, compositivo, scenografico e iconografico senza pari.

Cenacolo Palladiano

Alla Scuola Grande di San Marco,  nella sala dell’Albergo, sono ritornati i teleri di Bellini, Mansueti e Bordon, tutte riproduzioni anche queste, degli originali esposti tra le Gallerie dell’Accademia a Venezia e quelle di Brera a Milano. Risultato: che nella stessa città, è possibile vedere e studiare gli originali esposti nella sala della chiesa della Carità delle Gallerie – conservati con cura ma quasi invisibili agli occhi dei più – mentre alla Scuola possiamo godere della ‘verità’ delle immagini nel luogo originario: immagini che completano, anche qui, un ragionamento spaziale interno; ma che dialogano con il mondo esterno, la città, il Mediterraneo. E speriamo che presto tornino i teleri di Tintoretto!

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Insomma, Magister Giotto è certamente un grande e importante evento. Spettacolare, emozionale, sensoriale. Un evento che avvicina e che può stimolare la curiosità, può generare la necessità di cercare, poi, quello autentico. Ma il suo pubblico di stranieri stressati dal caos veneziano, lo farà? e lo faranno quelli delle città del modo in cui questa mostra, verosimilmente, andrà in tournée?

Come afferma Tomei, dalle stesse pagine del Corriere, nulla restituisce però l’emozione di entrare nella Cappella degli Scrovegni.

Quella vera.

 

 

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